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NFON – SMART WORKING: MA SIAMO SICURI CHE DA NOI SI FACCIA DAVVERO?

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 Ciao. Questo podcast è realizzato in collaborazione con NFON e parla di smart working e centralini telefonici.

Se vi state chiedendo cosa c’entri lo smart working con i centralini telefonici, pazientate qualche minuto che ci arriviamo. Intanto, partiamo da una battuta che gira negli ambienti aziendali, e in particolare in quella Milano che del lavoro ha fatto un vero e proprio culto. Talvolta un po’ integralista, e infatti la battuta che gira è rivolta a chi, dopo aver “badgiato”… mamma mia, che parola terribile, scusate. Dicevo, dopo aver passato il badge sul lettore alle 9 del mattino per l’entrata in ufficio, lo passa alle 17, 17.30 per l’uscita. I colleghi osservano, e parte la battuta: “Uè, oggi mezza giornata?”.

Questa battuta dice molte cose. Una, per esempio, è che c’è da noi questa bislacca idea che se non tiri in ufficio almeno dopo le 19, non hai fatto il tuo dovere. All’estero non è così: la maggioranza dei dipendenti delle aziende lasciano il proprio posto di lavoro a un orario che per noi è quello della merenda. 

Un’altra cosa che ci dice quella battuta riguarda la qualità del lavoro. Entri alle 9 ed esci dopo le 19. Metti un’oretta di pausa, sono comunque 9 ore di lavoro. Le hai fatte davvero tutte? Sei stato concentrato e attivo per tutto quel tempo? Oppure, non è che per obbedire a questo obbligo non scritto di presenza ti sei preso le tue belle pause, o hai lavorato con meno spinta sapendo che comunque prima di quell’ora non saresti uscito?

E ancora, chi ti obbliga a stare in ufficio? La risposta qui è semplice: un contratto di lavoro basato su vecchi stereotipi, su concezioni legate al micro-management, all’idea che se dall’alto ti posso controllare allora sono sicuro che produci. Sappiamo che non è così; anzi, tutto questo tempo dedicato al lavoro spesso si traduce in improduttività e frustrazione, nata anche dal dovere inderogabile di uscir di casa, infilarsi nel traffico, affrontare ritardi, stanchezze. Una miscela che alla lunga si trasforma in stress e demotivazione.

smart working

Smart working: se ne parla tanto, se ne fa di meno

Ecco, questo è il quadro. Certo, è vera una cosa: in Italia spesso si lavora di più che nella maggior parte dei paesi europei perché siamo obbligati – o peggio, siamo abituati – a dover affrontare una serie di tipicità tutte nostre. E cioè: burocrazia e amministrazione mastodontiche e complesse; incerta gestione del credito, che impegna risorse e tempo, e quindi costi; e un’innata propensione a operare fuori dagli schemi e negoziare ogni regola. Ma al netto di queste peculiarità, il quadro è quello descritto. E allora chiediamoci: ma questo è smart working?

Ovviamente non lo è. Eppure smart working una delle keyword dei tempi contemporanei, se ne sente parlare tantissimo e – va detto – si comincia a vedere che alcune aziende lo applicano:  spesso sono quelle internazionali, le cui regole interne sono le stesse in tutto il mondo, o quelle davvero molto attente al benessere dei propri collaboratori. E però non è ancora così adottato come invece meriterebbe. Perché alla fine lo smart working è semplice: è lavorare con obiettivi chiari e dettagliati, e tempi certi per la relativa realizzazione. In ufficio, da casa, in treno, dai clienti, al co-working, su una terrazza davanti al mare? Non importa: conta raggiungere l’obiettivo entro la scadenza.

Piccolo inciso: non vogliamo demonizzare l’ufficio. Il tempo che vi si passa resta importante per almeno tre ragioni; la prima, condividere informazioni e richiedere riscontri immediati; la seconda,  riunirsi per prendere decisioni; la terza, socializzare con i colleghi, che fa sempre bene. Però l’ufficio non può essere il centro di tutto, anche perché – volenti o nolenti – la mobilità è una cifra del lavoro contemporaneo. 

Smart working: qualche numero 

Secondo dati resi noti durante il recente BeConnectedDay (la manifestazione organizzata da UCUG, lo Unified Communications Users Group), entro quest’anno il 72% dei dipendenti lavorerà in parte da remoto, e oltre la metà delle riunioni avrà almeno un partecipante connesso da un altro luogo. E ancora, l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ci ricorda come nel 2018 in Italia si contassero 480mila smart worker, con un aumento del 20% rispetto all’anno precedente.

Bene, quindi lo smart working si pratica, cresce e però andrebbe favorito di più. Anche perché è uno dei pilastri della Digital Transformation, che chiede alle aziende di essere agili e flessibili. E allora, se avete pazientato fin qui, capirete che il centralino telefonico in cloud è uno degli strumenti per garantire questa agilità. 

Smart working: oltre il telelavoro

Perché attenzione: quando parliamo di smart working non parliamo di semplice telelavoro, ma di nuovi modelli organizzativi per le imprese, che magari operano su vasti territori e hanno bisogno di far collaborare persone con competenze diverse e che si trovano in luoghi lontani tra loro.

Condividere documenti e informazioni in tempo reale, o mettersi facilmente in collegamento grazie a servizi telefonici professionali in cloud: questa è l’essenza del sistema di Unified communication, cioè dell’integrazione di servizi real time di comunicazione per poter impostare modi di lavorare più intelligenti, collaborativi e sicuri, con la possibilità di far convergere la comunicazione sull’individuo dovunque si trovi. La telefonia aziendale in cloud è parte integrante di questo sistema.

E allora, per scoprire le caratteristiche di un centralino telefonico che abiliti lo smart working e spinga le aziende verso un’adeguata trasformazione digitale, vi invitiamo a cliccare sugli approfondimenti che trovate qui sotto. E buon ascolto del podcast! 

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